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ACCOGLIENZA

Afghanistan, Decaro su Repubblica: “Apriamo le porte ma distribuiamoli con equità”

24 Agosto 2021

L'intervista al Presidente ANCI

TEMI: ANCI

“Non c’è accoglienza senza integrazione. Per far sì che questo avvenga l’accoglienza deve essere diffusa”. Antonio Decaro, presidente dell’Anci e sindaco di Bari, ribadisce l’impegno dei Comuni a fare la propria parte dinanzi alla crisi umanitaria dei profughi afghani, ma indica anche un percorso. Una strada da seguire per realizzare un vero e proprio modello di integrazione che ancora una volta vedrà in prima linea i sindaci.

Il nostro paese in questi giorni è impegnato in un ponte umanitario con l’Afghanistan. Come si stanno organizzando i Comuni?

«L’Anci ha da subito proposto una collaborazione ai ministeri dell’Interno e della Difesa per assicurare il supporto dei Comuni alle operazioni di accoglienza delle famiglie afghane, che in questo momento sono gestite a livello nazionale. Abbiamo una rete di strutture, nell’ambito del progetto Sprar, oggi Sai, con alcuni posti che sono destinati, per la legge 141 del 2014, proprio ai cittadini afghani, che può essere estesa e rimodulata secondo le necessità. Abbiamo chiesto di essere coinvolti nella gestione per attuare un sistema di accoglienza diffusa sul territorio nazionale, evitando concentrazioni in poche zone così da non creare tensioni sociali sui territori e favorire l’integrazione».

Il sindaco di Firenze Nardella, parlando a Repubblica, ha spiegato che non basterà dare solo una prima accoglienza, ma garantire un futuro a chi arriverà nel nostro paese. Condivide questa posizione?

«Senza dubbio. Per far sì che questo avvenga l’accoglienza deve essere diffusa. Quando qualche anno, alla luce di alcuni episodi verificatisi in diversi Comuni dove al cospetto di una popolazione di poche migliaia di residenti furono inviati migliaia di migranti, avevamo chiaro proprio questo principio. Per me l’integrazione passa da un’accoglienza che abbia delle regole, per lo più di buon senso. Se in un comune di tremila abitanti arrivano mille persone di diverse nazionalità è ovvio che la popolazione tenderà a rifiutare questo percorso né le istituzioni, soprattutto quelle territoriali, potranno offrire servizi adeguati e opportunità. Nei casi in cui si sono verificate in passato queste situazioni non c’è stata integrazione ma non si è potuto neanche parlare di accoglienza. Se invece mettiamo in atto un sistema di accoglienza diffusa, succede che in un comune di 3000 abitanti arrivano meno di 10 persone. In questo caso si possono davvero istruire processi di integrazione positivi».

Un percorso non sempre facile.

«Certamente occorre, come dicevo prima, gestire la collocazione delle persone in maniera ragionata e dando la possibilità ai territori di integrare queste persone. Il nostro è un paese capace di grandi slanci di solidarietà ma occorre dare ai cittadini e alle istituzioni territoriali la possibilità di accogliere davvero queste persone, non soltanto con spirito caritatevole, ma anche offrendo servizi e opportunità. In questo modo avere la possibilità non solo di accogliere ma anche di accompagnare le comunità locali in un percorso di conoscenza e integrazione. Questa è la sfida che abbiamo davanti, nessuno pensa che sarà facile, ma abbiamo gli strumenti per gestirla insieme».

L’Anci però ha chiesto al governo un impegno per sostenere i Comuni.

«La rete Sai diffusa su tutto il territorio nazionale è finanziata dallo Stato e per ampliarla servono fondi, che certamente i Comuni non possono distogliere dai loro bilanci. Stiamo lentamente venendo fuori da un momento complicato per quanto riguarda la finanza locale.
Abbiamo dovuto fare i conti con una riduzione drastica delle entrate dovuta alle agevolazioni legate alla pandemia e nonostante i ristori del governo tanti Comuni fanno fatica a chiudere i bilanci. Per questo è necessario che il governo intervenga con fondi ulteriori ».

I sindaci hanno un rapporto diretto il territorio. Come stanno rispondendo i cittadini?

«L’Italia è un paese straordinario, capace di grandi manifestazioni di solidarietà. È bastato il passaparola tra associazioni, scuole, parrocchie e rete di volontari che si sono moltiplicate le disponibilità di famiglie pronte ad accogliere, non solo i minori ma intere famiglie. In tanti si stanno mobilitando per accogliere e mettere su una rete di protezione sociale delle persone che arriveranno.
Persone che si sono viste costrette a lasciare la propria casa perché in pericolo. Noi abbiamo il dovere istituzionale e umano di tendere la mano a chi ha provato negli ultimi anni a costruirsi un futuro libero e civile a casa propria».

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