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Un patto sociale di stabilità e crescita

9 Gennaio 2012

Pubblichiamo un articolo di Fabrizio Pezzani, professore ordinario di economia e management delle pubbliche amministrazioni presso l'Università Bocconi.

Fra i tanti suggerimenti e sollecitazioni portati dai commentatori all’azione del governo, curiosamente e colpevolmente,  rimane escluso quello relativo ad una rivisitazione dell’attuale patto di stabilità ( la crescita si  persa nel tempo ) interno che dovrebbe disciplinare l’attività amministrativa del comparto delle amministrazioni pubbliche locali ma che ne sta soffocando l’azione al punto che potrebbe essere più correttamente definito come  “ il patto di instabilità e decrescita “  .
Il patto viene adottato in coerenza con la disciplina europea al momento dell’entrata nell’euro ed esteso alle amministrazioni locali con l’obiettivo di attuare politiche di rigore nell’attenzione della spesa pubblica e di incentivare le economie territoriali .
Fin dalla sua prima introduzione in Italia , in altri paesi è diversa l’interpretazione, il patto viene di fatto vincolato alla definizione di tetti  sulle singole voci di spesa  – corrente , indebitamento , in conto capitale , investimento .. – in modo uniforme per le singole amministrazioni territoriali  del paese che presentano , invece ,  secolari diversità – i cosiddetti  tagli lineari - . L’attenzione  posta solo sugli input e non sugli output  preclude la possibilità di collegare le risorse ai risultati ed alle correlate responsabilità . Il patto in questo modo finisce per irrigidire ed ingessare la gestione perché esclude qualsiasi forma di compensazione tra le voci di spesa soggette al vincolo e rispetto ai risultati . In questo modo viene meno la capacità da parte delle amministrazioni di organizzazione autonoma delle risorse e dei mezzi di produzione principio che viene presentato al primo anno dei corsi di Economia Aziendale come elemento fondante per un’equilibrata gestione aziendale .
L’elasticità gestionale, richiesta anche dalla necessità di rispondere in modo rapido ad una dinamica esterna crescente, viene ulteriormente compromessa dal continuo cambiamento delle regole che disciplinano il patto ogni anno e più volte in corso dello stesso anno. L’attività di programmazione fondamentale in periodi turbolenti come questi viene così definitivamente compromessa e rende sempre più difficile, ad esempio, l’azione di contenimento delle spese correnti che richiede invece  un orizzonte temporale di medio tempo; sono  tutti sulla linea di porta a respingere il pallone dove capita .
La modalità d’interpretazione del patto segue una sua linea concettuale che l’allontana dalla realtà, aumenta la distanza anche culturale tra amministrazioni centrali e periferiche e finisce così con il soffocare la crescita a livello territoriale, caratteristica economica e sociale della nostra storia. Non migliora l’efficacia, l’efficienza e l’economicità della spesa inoltre il mancato rapporto tra input/output rende inutili ed inapplicabili i citati principi. Più diventano stringenti le regole così concepite, più peggiora a livello locale la crescita perché finisce per ingessare il sistema di relazioni economiche e sociali tra soggetti, pubblici e privati, che operano sul territorio, in modo particolare le regioni del nord che dovrebbero trainare le altre, ne risultano maggiormente colpite.
Le conseguenze di questo modello di patto si manifestano in una riduzione della spesa per investimenti – meno il 20% nel periodo 2004-2009  nel paese, di cui il 60% è coperto dai comuni - , minore capacità di intervento sulla spesa corrente – abbiamo circa 40 mld di euro di residui passivi ed un aumento per la spesa sociale del 20% dal 2004 - ; la spesa sociale di grande criticità in questa fase è sostenuta per l’80% dai comuni . Il tetto sulla cassa ha indotto comuni che avevano disponibilità di cassa a non rispettare il patto per pagare le imprese creditrici ; in Lombardia , nel 2009 ,sono 60 i comuni che si trovano in questa situazione come ha evidenziato l’analisi di Anci - Lombardia  . L’istanza di formulazione di incostituzionalità del patto per queste ragioni è stata rigettata ma senza l’indicazione di proposte correttive , così i saldi positivi , circa 1,2 mld di euro ,ritornano allo stato e non ai comparti virtuosi   . La manovra , così concepita , incide maggiormente al nord dove gli investimenti sono maggiori e l’economia più dinamica .
Il patto va ripensato in una logica territoriale – patto di stabilità territoriale - in cui il rapporto si pone tra regioni e stato e non più tra stato e singole amministrazioni locali. I vincoli vengono definiti in una logica anche di bottom-up e non solo top-down con le regioni che al loro interno devono trovare forme di compensazione tra le singole amministrazioni che afferiscono all’ambito regionale . Così si può recuperare elasticità gestionale declinando i tetti all’interno dei comparti regionali a seconda delle necessita delle singole amministrazioni viste in una logica di sistema.
Ripensare il patto di stabilità in una logica territoriale risponde alla necessità di uscire con chiarezza da un assetto istituzionale perennemente in bilico tra modello federale ed uno centrale; non vi può essere federalismo secondo la legge delega l.42/09 senza una struttura amministrativa coerente con la storia di un paese profondamente diverso nei singoli territori da sempre. Si risolverebbe il contenzioso continuo tra amministrazioni centrali e periferiche e si abbatterebbe in modo significativo la complessità dell’impianto contabile che deve supportare oggi il modello, si renderebbero chiare  le aree di responsabilità e forse i sistemi di controllo potrebbero funzionare .
Infine la necessità a livello regionale di condividere un obbiettivo comune tra le amministrazioni locali contribuirebbe alla ricostruzione di quel sistema di relazioni sociali ed economiche che l’attuale crisi sta distruggendo con un modello sociale fortemente individualista ed antiegaliatario .
In questo modo il patto assume una dimensione non solo tecnica ma sociale per unire e non per dividere e contribuisce al rilancio di un’economia sociale territoriale più solidale nella linea della storia del nostro paese al cui centro dovrebbero essere riportati valori fondanti legati alla famiglia , al ruolo della donna  e dei giovani i quali dovrebbero essere riportati vicino  all’inimitabile artigianato italiano  ed al mondo agricolo dove i valori di solidarietà vengono più facilmente sentiti e sperimentati .
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