IN ALLEGATO: il documento Ifel
L’attuale previsione di riassetto delle entrate locali prevede la devoluzione di gettiti statali sul cespite immobiliare (dal 2011 al 2013) e poi la confluenza di gran parte di essi nell’IMU, articolata in quota possesso e quota trasferimenti immobiliari, in concomitanza con l’introduzione della cedolare secca sui redditi da locazione fin dal 2011.
Tali devoluzioni/assegnazioni di nuovi tributi locali avvengono fino a concorrenza delle risorse oggi oggetto di trasferimento statale (trasferimenti di tipo A e B ex Copaff), ma,
nelle intenzioni del Governo, già decurtate delle somme previste dal d.l. 78 (-1,5 mld. Dal 2011; -1 mld. ulteriore, dal 2012).
Le basi imponibili che sostengono il nuovo assetto delle entrate comunali sono caratterizzate da rilevanti differenziazioni territoriali e il raggiungimento di un sistema di equilibrio per la generalità dei Comuni necessiterà di un costante monitoraggio, di appositi e concertati dispositivi attuativi e dell’integrazione con gli altri “pilastri” del federalismo fiscale, in particolare la perequazione delle capacità fiscali e l’introduzione dei fabbisogni standard.
Tali impegnative condizioni sono in parte già avviate o previste nello stesso schema di decreto
sul “federalismo municipale”, in parte da precisare nel corso dell’attuazione dei primi provvedimenti, in parte ancora da delineare sulla base di principi e criteri comunque presenti nella legge 42 del 2009.
Le principali problematiche
I punti problematici per una compiuta valutazione del progetto di riforma delle entrate comunali sono diversi, sia sotto il profilo della sostenibilità per i bilanci, sia per ciò che riguarda la robustezza delle modifiche prospettate sul regime fiscale degli immobili.
In primo luogo, il dimensionamento generale della manovra ingloba integralmente, nelle intenzioni del Governo, il pesante taglio dei trasferimenti disposto con il d.l. 78/2010, nonostante la clausola inserita in conversione nello stesso decreto (art. 14, comma 2), in base alla quale i tagli non avrebbero dovuto rilevare “in sede di attuazione dell’ articolo 11 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale”.
In secondo luogo, la scelta delle basi imponibili, per quanto coerente con quanto avviene in molti dei Paesi paragonabili all’Italia e con le richieste da tempo formulate dall’Anci, comporta distribuzioni territoriali molto diseguali tra i diversi territori e in parte soggette a variazioni nel tempo relativamente casuali. Ciò comporta l’insufficienza di questo decreto a fornire ai Comuni un quadro di stabile finanziamento senza la soluzione del tema della perequazione delle capacità fiscali, come previsto dalla legge 42.
In terzo luogo, le difficoltà di cui ai primi due aspetti risultano enfatizzate dal fatto che il riassetto delle entrate comunali proposto dal decreto si accompagna a due interventi di riforma dell’imposizione sugli immobili che possono avere effetti quantitativi negativi non perfettamente prevedibili: l’introduzione dal 2011 della cedolare secca sui redditi da locazione di abitazioni; la riduzione del prelievo sui trasferimenti immobiliari, dal 2014.
A questi elementi si agganciano alcuni interrogativi sull’affidabilità delle previsioni finora esposte dal MEF, che sono riconducibili a tre punti:
1. possibile sovrastima della dinamica temporale della componente immobiliare Irpef e del gettito aggiuntivo acquisibile con la cedolare secca a seguito dell’“emersione” di affitti non dichiarati, per gli effetti di deterrenza delle norme sanzionatorie specifiche sugli affitti “in nero”;
2. possibile sovrastima del gettito da trasferimenti immobiliari (tributi attuali e poi IMUtrasferimenti)
3. effettività e sostenibilità dell’ampliamento della base imponibile IMU-possesso,
che, secondo lo schema di decreto, viene a ricomprendere gli immobili di Onlus, Enti
ecclesiastici e Ater e le abitazioni assimilate alle abitazioni principali, oggi esenti dall’ICI.
Senza addentrarci in dettagli (ved. considerazioni riportate in Appendice), ognuno dei punti indicati comporta rischi di insufficienza delle risorse assegnate ai Comuni, che dovrebbero essere meglio dettagliati nella Relazione tecnica ed opportunamente fronteggiati con:
- dispositivo di espressa salvaguardia delle risorse destinate ai Comuni, così da assicurare un ammontare certo di risorse per l’intero comparto Comuni certo, che non possa ridursi al di sotto di un livello concordato per un congruo periodo di avvio;
- meccanismi di fissazione delle aliquote e di compartecipazione dello Stato ai gettiti devoluti adattati alle ultime informazioni disponibili e in grado di assicurare il mantenimento in capo ai Comuni sia della dinamica naturale dei gettiti che dei recuperi di evasione;
- strumenti potenziati di recupero di evasione, con particolare riguardo al controllo degli affitti, quali l’introduzione di dispositivi di presunzione di locazione in presenza di indizi chiari – sia nei casi di affitto permanente che in quelli, ancora più a rischio, di locazione temporanea per scopi turistici o di lavoro – sulla cui base chiamare il contribuente a giustificare l’utilizzo effettivo dell’immobile.
In assenza di questi accorgimenti, i Comuni si potrebbero trovare nella condizione di dover innalzare la pressione fiscale locale utilizzando i margini di manovra delle aliquote loro concessi, al mero scopo di assicurare l’equilibrio ex ante, con l’evidente snaturamento dell’autonomia fiscale riconosciuta dallo schema di decreto.